Da Corvaro una verticale sul Monte Cava


Sul Monte Cava c’è poca letteratura e quello che si trova descrive prevalentemente 2 percorsi che iniziano rispettivamente sotto la galleria autostradale di San Rocco, per la valle dell’Asino, e al Valico della Chiesola per il bosco del Cerasolo. Percorso un paio di volte il primo, parzialmente anche il secondo, ed incuriosito, ogni qual volta mi trovavo a percorrere l’autostrada verso l’Aquila, dalle linee di salita al Cava dal versante di Corvaro, avevo pianificato da tempo questa escursione; incoraggiato ulteriormente dal fatto che non ho mai visto la vetta del monte in condizioni di visibilità accettabile mi sono messo a raccogliere informazioni. La carta utilizzata , Velino-Sirente, la numero 8 delle edizioni Il Lupo, riporta un paio di sentieri , 1A ed il lunghissimo 1B; sul web, sul sito del gruppo Scarponiepedali, solo una relazione del secondo percorso con una sorta di anello a ritroso proprio sotto la vetta , ma è poco dettagliato e poco chiaro per chi la zona non la conosce. Non rimaneva che organizzarsi ed inventare con i pochi elementi a disposizione. Uno, il più importante, e “rubato” dalla relazione trovata sul web, era la partenza da Corvaro nei pressi della chiesa e della Piazzetta di Fonte Vecchia da dove partiva il sentiero 1A. Una volta sul posto un simpatico signore a cui ho chiesto informazioni per rintracciare velocemente la piazza di Fonte Vecchia ha rimestato le carte e soverchiato ogni progetto. In un dialetto al limite del comprensibile, che traduco per quanto ho compreso, ma calorosissimo: “fonte vecchia è dall’altra parte del paese, da lì è più lungo, parti da Fonte Nuova che accorci, tagli dentro la valle e in alto si ricongiunge al principale”. Fattomi spiegare come arrivare alla piazza di fonte Nuova non rimaneva che attuare il nuovo piano di attacco al Cava. Per aiutare chi vorrà un giorno rimettersi su questo percorso vi metto giù le informazioni essenziali per rintracciare la partenza del sentiero, che anche se molto evidente una volta rintracciato, è totalmente privo di segnaletica fin tanto che non si ricongiunge al principale; percorrere la strada principale che subito dopo il casello autostradale porta al paese di Corvaro, entrare nel paese e 50 mt prima della chiesa di San Francesco, girare sulla destra per via Don Filippo Ortenzi e percorrerla fin tanto che non inizia a salire. Quando in salita si stringe occorre girare dopo un muro che abbiamo sulla sinistra, una curva strettissima, sempre a sinistra, un vero gomito in cui indispensabile sarà fare manovra; qualche centinaio di metri da percorrere, un strettoia ulteriore e si arriva allo slargo di Fonte Nuova. Più oltre non si va parcheggiare e prendere a piedi per il paese in salita nell’unica via che si trova dalla parte opposta di ingresso alla piazza. Come imboccare il sentiero lo rimando alle prime immagini della galleria fotografica. Aggirate le ultime case dirute da chissà quale passato evento sismico e la Rocca in restauro, si imbocca un sentiero molto evidente stretto tra robusti muretti a secco e che si inoltra nella vegetazione tra arbusti di rose selvatiche e recinti spinati. Con pendio leggero e solo a tratti più ripido si spinge all’interno del bosco, aggirando verso sinistra il sempre più evidente Cucuruzzo, la tonda “anticima” del Cava che funge da autentica boa. Tralasciando vari sentieri laterali che si incontrano lungo quello principale si arriva ad una fonte e ad una presa d’acqua lì vicino; il sentiero continua virando a sinistra dopo la presa d’acqua ma preferiamo prendere quello meno marcato che si dirama a destra proprio di fronte la fonte che con pendio più deciso e rapide svolte sale in direzione del Cucuruzzo. La sterrata è solcata da profonde tracce di 4x4 che rendono poco agevole avanzare; il bosco si infittisce ma poco dopo il sentiero si appiana. Seguiamo tracce di sentiero a tratti effimero, in direzione della nostra “boa”, attraversiamo recinti, pianori e piccole radure, cercando di non seguire la carrareccia così scontata. Le nostre sono solo scorciatoie alla fine, il ripido pendio del Cucuruzzo è il nostro limite e poco dopo, di balzo in balzo sui vari pianori ritorniamo ad intercettare nuovamente la strada all’altezza della fonte dei Coppelli; non ci arrendiamo, ritorniamo ad allontanarci dalla strada andando verso destra e passando vicino alla capanna dei fratelli Franchi, le tracce di sentiero continuano ma la strada di tanto in tanto la intravediamo poco sotto, per brevi momenti siamo costretti a seguirla. Tratti di boscaglia più radi e rocce sempre più sporgenti fanno capire che siamo ormai al limite della vegetazione, siamo intorno ai 1500 mt di altezza. La scelta a questo punto, rifiutandoci di seguire la strada sterrata, è scontata; sopra, fino alle rocce che inducono a pensare alla cresta sommitale ci sono 500 mt di pendio costante e ripido, fatto di gradoni e prato, fatto di trace di passaggi di animali e di scolo dell’acqua piovana. Non so se in quel momento abbiamo realizzato che alla vetta mancava poco meno del dislivello totale e che una salita del genere sarebbe stata di una monotonia unica; abbiamo preso quasi in verticale a da lì alla vetta è stato praticamente una soluzione unica. Giusto al Coppo di Cava abbiamo respirato un attimo, quota 1800 metri, praticamente una crestina secondaria che termina nel Cucuruzzo e che col Cava va a formare un’ampia conca erbosa dove al centro c’è un vascone rettangolare per raccolta di acqua che viene poi convogliata in una fonte pochi metri più bassa nella stessa conca. Da questa quota finalmente gli orizzonti si allargano ad affievolire la monotonia della salita; la valle dell’Asino è scura, sfila tra il San Rocco e il Morrone ed accompagna lo sguardo su sentieri conosciuti e già frequentati fino al monte Uccettù , a Punta Zis ed al Morrone. Il gruppo del Velino è ancora carico di neve, sparita assolutamente invece dal Monte Cava che ne lascia intravedere solo un filo sul perimetro di cresta. Tiriamo un po’ il fiato e Marina riprende subito sul rotondo e pochissimo pronunciato spigolo del Monte Rotondo. Salendo in leggera diagonale tagliamo gli ultimi 200 metri di ripido pendio puntando quella che mi sembrava essere la vetta principale. Intercettiamo la cresta in prossimità di un grosso omino, più o meno a metà strada tra il Monte Rotondo ed il Monte Cava. Il versante aquilano del Cava scende con meno pendenza ed è completamente ammantato di neve. Tutto il crinale del Gran Sasso in lontananza è tra le nuvole, il Monte Cava non sarà certo un bellissima montagna ma questa volta almeno mi ha favorito. Non rimane che inoltrarsi sulla cresta, dieci minuti di cammino per raggiungere la vetta dove troviamo in omino di pietre ancora più grosso tanto che ci permette un valido riparo dal vento fresco che proviene da Sud. Su una pietra alla base dell’omino la scritta familiare della quota con pennarello azzurro del nostro amico Pino. Ci sono volute tre ore e quindici minuti per superare i 1100 metri di dislivello, una buona media nonostante i lunghi tratti di noiosa salita. La sotto le automobili sembrano ferme mentre sfrecciano sull’autostrada che sta per infilarsi sotto il monte. Ci riposiamo per quindici minuti dopo di che ripercorriamo il ritorno; per un breve tratto ritorniamo sulla cresta a ritroso e ci buttiamo in un traverso sul crinale verso la conca sottostante; attraversata la conca il sentiero converge su una poco spiccata sella a pochi metri dal Cucuruzzo, sulla carta è attraversata dal sentiero 1B, la carrareccia che sale dal basso. Non c’è ombra del sentiero, forse le tracce si sono perse sul prato dopo il “riposo” invernale. Marina è stanca, cercare il sentiero e soprattutto seguirlo ci porterebbe a compiere un lungo giro che attraverserebbe il fianco della montagna; di certo più faticoso ma sicuramente molto più veloce ci risulta l’opzione, di nuovo del tutto anarchica, di una discesa sulla verticale puntando uno stazzo a valle che abbiamo sfiorato in salita. Micidiale per le ginocchia la discesa che è stata sicura e veloce; abbiamo guadagnato il piano a 1400 metri in poco più di un’ora. Da prima un po’ a vista, poi affidandoci a dei ricordi del percorso di andata, la casa dei fratelli Franchi, all’andata solo sfiorata e poi di nuovo la fonte dei Copelli, abbiamo facilmente riguadagnato la sterrata che questa volta non abbiamo più lasciato fino a Corvaro. Qualche incrocio ha indotto un minimo di dubbio ma la certezza che ognuno dei percorsi conducesse al paese ci ha fatto filare sicuri. Per la cronaca ad ogni incrocio nella boscaglia abbiamo tenuto la sinistra. Poi di nuovo il sentiero formato dai muretti a secco, il bell’ingresso in paese, tra le rovine della Rocca e di alcune case che mantengono in ogni caso la loro dignità che gli deriva dal passato e la piazzetta di fonte nuova dove avevamo lasciato l’auto. Già, la fonte, anche se un cartello indica che l’acqua non è potabile essere accolti dall’acqua corrente è sempre una bella cosa; ti rinfreschi, ti dai una sistemata, ripulisci gli scarponi ed il solo picchiettare dell’acqua ti toglie metà della fatica della giornata. Sono le 15 e 30, chissà se troviamo qualche oste ancora in grado di darci il sollievo che cerchiamo? Basta chiedere a dei ragazzi del paese che ci rassicurano sulla Rocca, un ristorante al centro del paese nuovo, che ci accoglierà di certo col un tavolo apparecchiato nonostante l’ora. Un antipasto ricchissimo ed una “arrosticiata” fumante ci hanno tenuto inchiodati al tavolo fine quasi le cinque del pomeriggio. Ora la vetta del Cava non è più per me un mistero; di certo i percorsi per la valle dell’Asino o dal valico delle Chiesole sono più interessanti per raggiungerlo ma la pettata da questo versante deve essere fatta, se non altro per sfatare la curiosità che si forma ogni qual volta si percorre l’autostrada per L’Aquila sul fianco del Monte Morrone.